Il difficile recupero del fiume Sarno

Considerato uno dei fiumi più inquinati d’Italia, il Sarno sarà protagonista di un ambizioso progetto di recupero che potrebbe migliorare sensibilmente la qualità delle sue acque e della vita delle persone che abitano lungo le sue sponde.

5 minuti | 23 Settembre 2022

Fotografie di Giuseppe Carotenuto

Appena 24 chilometri di lunghezza, undici comuni, due province attraversate (Salerno e Napoli) e un triste e contestato primato, ossia quello di fiume più inquinato d’Europa, stando al libro Handbook of water purity and quality del 2009. Il Sarno porta con sé tutta una serie di problemi ambientali e sociali irrisolti, che sembrano ancora oggi lontani da una possibile risoluzione. 

Un tempo, il Sarno era celebrato da autori di epoche passate per la sua bellezza, per la sua pescosità e la sua navigabilità. Con l’avvento dell’industrializzazione, però, ha dovuto pagare un pesantissimo prezzo in termini di inquinamento. Le cause sono evidenti: l’altissima densità abitativa nel suo bacino idrografico che, a dispetto della brevità complessiva dell’asta fluviale, è molto ampio (oltre 500 kmq), la presenza di poli industriali, di scarichi agricoli e fognari e di molte opere di depurazione tuttora non completate. L’inquinamento è tale che ormai l’unico tratto ancora balneabile sono i primi due-trecento metri immediatamente a valle della sorgente. 

 

TANTA ACQUA, TANTO INQUINAMENTO

Il Sarno, a differenza di un gran numero di altri fiumi italiani, non ha dovuto pagare il prezzo della drammatica siccità di questi ultimi mesi. L’altissima densità abitativa, infatti, nel tempo ha portato con sé un ampio consumo di suolo. La cementificazione, a sua volta, ha causato l’impermeabilizzazione di gran parte del territorio circostante, facendo confluire così grandi quantità di acqua nell’alveo. Ma il problema del Sarno non è tanto la portata, quanto la qualità delle sue acque. 

L’inquinamento del fiume campano deriva dallo scarico diretto di acque nere non depurate. Infatti, lungo il corso del Sarno sono presenti depuratori non ancora collegati alla rete fognaria. Ma non solo. Il Sarno è anche collettore di scarichi industriali provenienti, tra l’altro, dagli impianti di lavorazione delle pelli del polo di Solofra e dalle aziende conserviere che lavorano i celebri pomodori San Marzano. L’altissima densità abitativa – nel bacino del fiume abitano circa un milione di persone – rende urgente un’opera di ripristino delle sue acque, per contrastare effetti sulla salute delle popolazioni locali e sull’ambiente che sono ancora oggi drammatici e non del tutto quantificabili.

«Il fiume Sarno versa ancora in condizioni di grandi difficoltà», osserva Carmine Ferrara, membro della commissione tecnico-scientifica dell’Ente Parco Regionale del Bacino Idrografico del Fiume Sarno. «La qualità dell’acqua varia, dalla sorgente alla foce, da buona a cattiva e ciò dipende dai punti e dai periodi di prelievo. Io, comunque, penso che l’inquinamento più grave che ha sempre interessato il Sarno sia quello composto dai luoghi comuni e dalla cattiva informazione, funzionali tutte e due a chi specula sui problemi di questo fiume». 

 

GLI EFFETTI DI AGRICOLTURA E INDUSTRIE

Ferrara nega con forza la valutazione secondo cui il Sarno sarebbe il fiume più inquinato d’Europa. Inoltre, il tecnico sottolinea come la crisi economica abbia influito in maniera positiva sullo stato delle acque del fiume. La chiusura di tante aziende e l’abbandono di ampi terreni agricoli hanno infatti contribuito alla riduzione degli scarichi e dell’inquinamento. E anche la depurazione ha iniziato a dare i suoi primi, modesti risultati.

L’inquinamento è legato alla stagionalità di alcune attività. In particolare, d’estate le acque del Sarno vengono intorbidite dagli scarichi delle industrie che lavorano i pomodori e altri prodotti ortofrutticoli. «Attribuire tutte le colpe solo a questo comparto è assolutamente sbagliato», sottolinea però Ferrara, «in quanto soltanto una minoranza di produttori di questo settore violano le norme in materia ambientale. Alcuni imprenditori di questo comparto non si fanno scrupoli a scaricare i reflui aziendali senza gli opportuni trattamenti di depurazione. Ma è pur vero che anche molti altri operatori di altri comparti fanno altrettanto. È fondamentale non criminalizzare alcun comparto industriale come è importante non dimenticare il peso dell’agricoltura sull’inquinamento del fiume».

In effetti, le cause dello stato attuale del fiume sono varie. Il peso del comparto industriale sul complessivo inquinamento del fiume Sarno è di circa un terzo. A questa frazione contribuiscono, oltre alle concerie di Solofra, molte altre aziende chimiche, sparse su tutto il territorio, e anche alcune lavanderie industriali. Gli altri due terzi dell’inquinamento complessivo si ripartiscono equamente tra gli scarichi civili, di cui fanno parte gli scarichi delle abitazioni, delle scuole, degli ospedali e delle altre strutture abitative, e l’agricoltura.

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UNA STORIA TRAVAGLIATA

In molti si sono interessati alla situazione del fiume. Di recente, anche l’Anpi di Scafati si è fatta promotrice con Libera e Legambiente di un evento pubblico sul Sarno, con lo scopo di portare il tema del disinquinamento all’attenzione del governo. Stando agli organizzatori, però, il governo centrale in questi mesi non ha dimostrato alcuna sensibilità sulla vicenda, nonostante il tentativo continuo di coinvolgerlo nella discussione. La Regione Campania, dal canto suo, ha risposto che entro il 2025 i lavori per il disinquinamento saranno completati. Ma si tratta di un processo lungo e tortuoso e che ha subito molti rallentamenti nei decenni passati.

La storia degli interventi sul sistema di depurazione del fiume Sarno è costellata di imprevisti. All’indomani dell’epidemia di colera a Napoli, del 1973, fu varato un piano speciale per il disinquinamento, detto PS3. «Questo», racconta Ferrara, «fu caratterizzato dallo stanziamento di centinaia di miliardi di vecchie lire e vide la realizzazione di molte opere, incomplete e inadeguate per un’efficace depurazione delle acque reflue». 

 

DEPURATORI E PROGETTI FUTURI

Con l’avvento al Ministero dell’Ambiente di Edo Rochi vennero rivoluzionate le politiche di depurazione e di risanamento. Ronchi incaricò l’ENEA di rimodulare il piano di intervento. L’ENEA bocciò il vecchio PS3, che prevedeva solo tre grandi depuratori per tutto il bacino idrografico oltre a lunghissimi collettori. Venne creata una suddivisione in tre comparti di depurazione. C’era l’alto Sarno, con i depuratori di Solofra e Mercato San Severino, il medio Sarno con i depuratori di Scafati, Nocera Superiore e Angri, e infine la foce, col depuratore di Castellammare di Stabia.

I depuratori sono stati tutti realizzati, quelli dell’alto Sarno erano già stati previsti dal vecchio PS3 ma sono ancora da adeguare. Gli altri depuratori di medio e foce Sarno sono stati completati da alcuni anni ma non sono ancora stati terminati i sistemi fognari di tutti e quarantadue i Comuni del bacino. Mancano all’appello anche diversi collettori. Insomma, la situazione sembra lentamente migliorare. «La situazione, per quanto ancora grave, lo è meno degli anni scorsi», osserva Ferrara, «sia per la crisi economica sia per l’inizio della depurazione che ha portato anche la balneabilità di alcuni tratti di mare della costa vesuviana, interdetti ai bagnanti da decenni». Un piccolo ma notevole traguardo, che fa ben sperare per il futuro.

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